La prima volta che si guardano le ginestre non dura mai più di un fulmicotone, tanto si palesano come elementari arbusti da fosso. Poi li vedi guardandoli dall'alto, mentre sei in bilico su di un funambolo e la prospettiva è quella di una rete di sicurezza. Le guardi da destra e comprendi che non è mai il lato giusto per guardarle. Le riguardi da sinistra e ti arriva una ventata di lapilli e tu ti senti subito su uno di quei vulcani pronto ai fermi di partenza, per una gara che non si sa dove si andrà ne cosa si vincerà ma di certo sai, che non si starà fermi.
Poi le guardi dal basso quando ti servono per non farti bruciare le retine dal sole. Poi le lavi e con l'acqua gialla ci vien fuori un cataplasma per il mal di mare. Le tingi di blu e diventano viola mistico. Le spremi e ci fai il burro di arachidi, un minipimer, il ragut, il caffet, il bidet, il fernet e infine il Cinar con la cochina e le ciliegie. Le scuoti al vento e ci fai i coriandoli a forma di triangolo isoscele che vanno anche in lavatrice. Le corichi per terra e diventano lunghe come l'intestino tenue e resistenti come le tele dei ragni che fanno la macumba. Le percuoti e diventano di vetro. Le ignori e le senti bussare alla porta, tu apri e trovi della stoffa in un sacchetto e una bottiglia di vetro piena di biglie di ceramica cinese. Le bruci e arriva il vento, ma uno di quei venti che fan sempre un suono quando passa tra le canne, tra i bicchieri di cristallo leccati, tra le seghe di metallo, tra le corde di budello, tra i denti, tra le ciglia, dietro le palpebre, su per il camino, torna tutto nell'aria, diventa un fuoco di artificio, esplode poi piove, ricade tutto a terra e finisce a dar da bere, alle ginestre.
Suburbia
martedì 22 luglio 2014
mercoledì 4 giugno 2014
Ore 7, centro prelievi.
Notti trascorse tra i racconti di altri, a impastare biscotti che continuano a sbriciolarsi tra le mani.
Cuori maldestramente formati, plasmando uova bio e zucchero di canna. Il sasso portato sulle spalle fino a sopra la montagna, rimanere a guardare mentre rotola a valle, sperando che qualcuno corra per tempo a fermarne la corsa. Domani è il 5, giorno di desideri. Si desidera che nessun alieno sia venuto ad abitarmi la pancia, le viscere o per lo meno i linfonodi sentinella. Li chiamano come se fossero sempre li come corazzieri con la baionetta in mano, quando invece si lasciano aggredire ed assalire come faccio io del resto, con la mia carne macellata. Bambini travestiti da uomini, che se manca la mamma c'è sempre la zia o al massimo una vicina di casa gentile. Battaglie per un cancello che chiude il nulla, sigillato da pesanti catene e da cartelli che dicono che 30 metri sono un divieto alla trasformazione. Bambini senza pelle, che si costruiscono fortini fatti di carta stagnola. Lavatrici e asciugatrici di desideri, aspirapolveri di budella, ventagli di carta vetrata. Respira forte la lana di vetro, sembra canapa e invece ti fa morire. Fattucchiere che ti tengono la mano e leggono per te un futuro che sa di sangue in bocca. Mondi di carta inventati da gente che non sa usare le forbici, abitati da esistenze che non sanno tenere le mani. Io sono altro, io sono altrove. Dove vado ora con le braccia sporche di te? A cercare un sapone neutro che mi lavi e mi disinfetti da quello che tu chiami amore, senza sapere che il catrame si leva via con l'olio e non con l'acqua e il sale dei miei occhi.
Cuori maldestramente formati, plasmando uova bio e zucchero di canna. Il sasso portato sulle spalle fino a sopra la montagna, rimanere a guardare mentre rotola a valle, sperando che qualcuno corra per tempo a fermarne la corsa. Domani è il 5, giorno di desideri. Si desidera che nessun alieno sia venuto ad abitarmi la pancia, le viscere o per lo meno i linfonodi sentinella. Li chiamano come se fossero sempre li come corazzieri con la baionetta in mano, quando invece si lasciano aggredire ed assalire come faccio io del resto, con la mia carne macellata. Bambini travestiti da uomini, che se manca la mamma c'è sempre la zia o al massimo una vicina di casa gentile. Battaglie per un cancello che chiude il nulla, sigillato da pesanti catene e da cartelli che dicono che 30 metri sono un divieto alla trasformazione. Bambini senza pelle, che si costruiscono fortini fatti di carta stagnola. Lavatrici e asciugatrici di desideri, aspirapolveri di budella, ventagli di carta vetrata. Respira forte la lana di vetro, sembra canapa e invece ti fa morire. Fattucchiere che ti tengono la mano e leggono per te un futuro che sa di sangue in bocca. Mondi di carta inventati da gente che non sa usare le forbici, abitati da esistenze che non sanno tenere le mani. Io sono altro, io sono altrove. Dove vado ora con le braccia sporche di te? A cercare un sapone neutro che mi lavi e mi disinfetti da quello che tu chiami amore, senza sapere che il catrame si leva via con l'olio e non con l'acqua e il sale dei miei occhi.
lunedì 30 dicembre 2013
Le stelline di semola, misura 05, cottura 7 minuti.
Bye Bye Bombay. Questa canzone mi fa piangere. Sempre. Quando l'ascolto sola. Mi fa sentire piccolapiccola e grandegrande. Mi fa sentire il dolore e insieme l'onore d'esser me stessa. E il coraggio che ci vuole a stare dalla parte di che e chi ho scelto. E' la parte di chi gli trema la terra sotto i piedi, la parte di chi si commuove all'arrivo di un'aria di primavera, la parte dove il passato è un sicario che continua a pedinarti, la parte dove le fatiche attanagliano e le magie incantano, la parte dove l'affetto prevale, sempre, su tutto e tutti. Ed assume le forme più diverse, in un'affondabile catena di gesti d'amore e di pietà "che non cede al rancore". Non credo di essere in nessun Dio, ma credo fermamente che uomini e donne, amici o sconosciuti, possano essere tenuti insieme in una divina trama di bontà. Muta e silente ma dura come il diamante. A risarcire chi non ha avuto nulla, chi ha avuto famiglie spoglie, madri cattive, chi si è fatto guidare da cattivi consigli e chi non ha avuto nessuna guida. Un'immensa bontà che ci fa risuonare l'uno nell'altra, che ci fa rivoltare con rabbia, lavorare con lena, amare con passione, danzare con allegria, urlare con sdegno, parteggiare sempre. Su questa "parte", a cui sento di appartenere, ho trovato te, e qui ti ritrovo sempre. Mio caro amico e amica, straordinario essere acquatico, fatto di paure e grinta enormi, impasto surreale di gioia e malinconia. Sacerdoti di bianchi esorcismi o ostetriche di instancabili creatività e ironia. Vi ho visti in azione, con la vostra energia e il vostro carico di utopia. Il finale di questo film è perfetto, ma io sono sicura che saprete superarlo in uno migliore, perché non c'è limite alla vostra inventiva. E alla vostra voglia di vivere. E alla mia. In sintesi, io non tremo e vi amo, mo dabon!
giovedì 13 dicembre 2012
Il fuoco del vulcano.
Ciao Giuseppe,
ti scrivo perché oggi è il primo
giorno dove ho sentito che la mano di Dio si è posata su di me.
Stamattina è venuta la ditta a
posare i tubi delle fogne davanti a casa, e i due addetti ai lavori presi a
pietà li hanno spostati in avanti 15 centimetri rispetto al progetto originale, tanto come dicono loro
“contano come un cerotto in una gamba di legno!”. Un gesto così piccolo ha
fatto un miracolo davvero grande, la pensilina con le civette si è salvata!
Volevo che tu fossi il primo a saperlo, e non perché l’hai costruita tu, o come
ti piace sottolineare, l’abbiamo fatta “insieme”, ma perché è il primo atto
d’amore dall’alto che arriva dopo tutti questi giorni di buio cosmico. In
realtà non sono mancati i gesti di affetto anzi, di questi tempi, sembra che la
gente non sappia fare altro che farsi del bene. Prima passavi lungo le strade e
nemmeno ti salutavano, mentre martedì quando Filippo ha messo il piede nei
raggi della mia bici, erano in due pronti a sollevarci di peso se fosse
servito. Persone che non sai nemmeno come si chiamano, o che vedi da una vita e
che non hai nemmeno mai salutato. Siamo tutti in una pancia così enorme, che
sembriamo i figli della stessa madre, la terra..che tremando ci ha partorito
fratelli.
Sotto le tende comincia a fare
caldo, e mi ricorda tanto le giornate li da te, io vestita di tutto punto, che
andandomene via, parevo passata sotto la lingua di una mucca enorme,mentre tu, sempre
perfetto nella tua imperfezione, nemmeno ti accarezzava quel caldo del forno
che fonde il ferro.
Le birre bio, quelle che tu ami
tanto dire “che saranno anche bio, ma non san da niente”, sono ancora in frigo.
Fino a venerdì c’era anche un cespo d’insalata marcio e i bastoncini Findus che
dopo venti giorni che li hai scongelati e te li sei dimenticati li, “il sorriso
che c’è in te” ti viene a mancare all’improvviso appena apri lo sportello! La
casa è stata congelata li per un mese, perché dopo la prima scossa io l’avevo
pulita di tutto punto, per dare la parvenza che non fosse accaduto nulla. Anzi
ti dirò, facevo pure quella che “ ..ma si tanto un po’ di spazio in casa ci fa
bene, che se non ne approfittiamo di queste situazioni per sgomberare un po’ di
superfluo, quando lo facciamo? Ma si, meglio così’, poi all’Ikea fan lo sconto
terremotati del 15%, mi compro la libreria Billy, che quella che si è rotta poi
con il muro marrone non ci stava bene!”. Dopo la seconda scossa del 29, ho
smesso persino di tirare l’acqua nello sciacquone, ci voleva troppo tempo. Una
tiratina al mattino può bastare, e anche un
paio di docce alla settimana, i capelli basta lavarli ogni sette giorni,
i primi due te li godi puliti, poi li leghi. I vestiti si mettono a ruota, uno
dopo l’altro, anche se stamattina vedendomi tutte queste paillettes addosso ho
pensato che è arrivato il momento di lavare qualcosa, o sembrerà uno di quei
mattini, dove esci da casa di un uomo da cui hai passato la notte e mentre gli
altri sono già’ tutti vestiti per andare al lavoro, tu girovaghi per la città
in abito da sera e tacco 15, con trucco alla Marilyn Manson, colato fino
all’inverosimile e un odore che è un misto di troppe cose e comunque già tutte
scadute. Sorrido sai, perché penso che queste notti torneranno chissà quando,
ma ora mi sembra così lontana da me, questa parte della mia anima che pur mi
appartiene, con la quale ho sempre giocato e mi ci sono pure divertita, che
come fosse una maschera del teatro greco, è caduta rompendosi in così tanti
pezzi, che come le tazzine inglesi che mi ha regalato Sabrina a Natale, non
vale di certo la pena tentare di rimetterle insieme. Adesso ho dei servizi di
piatti e bicchieri veramente casual, che poi se nessuno sa che ti sono crollate
le vetrine a casa, fa pure design! Pensa che l’altra sera ci siamo visti la
partita in tenda, i miei vicini tutte le sere estraggono il loro televisore 65 pollici e lo portano a braccia sulla panchina davanti a noi. Lo
fanno per distrarsi un po’, per non pensare al lavoro che comincia a zoppicare,
alla loro azienda che non si sa dove si sposterà e a quando dovranno prendere
la decisione di seguirla o di rimanere disoccupati. Loro alla famiglia ci
tengono molto, sono di Napoli, l’altra sera a guardare la partita erano in 15,
e non ti sto neanche a spiegare il folklore. Io invece ero da sola, Pippo a
Genova da suo padre, mio fratello latitante dal 20. So che sei stupito,
pensando a lui in queste vesti, in realtà io non lo sono per niente. Tutti i
segnali erano presenti anche prima, si sapeva che alla prima occasione
sarebbero venuti fuori, ma sai quando le cose proprio non le vuoi vedere..non
le vuoi vedere. E’ semplicemente imploso, accartocciato su se stesso che per
definizione significa, tutto il resto del mondo rimane fuori.
Anche questa è un altro macabro dono del
sisma, che dopo non puoi più fare finta di niente. Non puoi credere di non aver
visto ciò che ti è passato attorno e attraverso. Se una dimenticanza di un
compleanno la sopporti, la giustifichi, la infarcisci di mille alibi, dopo non
puoi più ignorarla, ti viene chiesto un tributo di verità dal quale non puoi
sottrarti, anche se è la cosa che vorresti di più al mondo. Allora sai, vedi
che i tuoi amici quelli che fino al giorno prima ti dicevano “se hai bisogno mi
raccomando, fammi sapere”, si volatilizzano tra milleduecento scuse che non
reggono nemmeno con i tubi Innocenti, si perché ormai i termini tecnico-edili
li sappiamo tutti. Vedi il sangue del tuo sangue scorrere da un’altra parte
rispetto alle tue vene, provi ad inseguirlo, ma è un liquido che ti deve scegliere
e se non lo fa ora, nel momento in cui la grande orchestra del demonio, attacca
la sua ululante sinfonia nel cuore della notte, nella tua stanza da letto..beh
allora ti rendi immediatamente conto che non lo farà mai. Scendi le scale alle
quattro di mattina, scavalchi libri, a piedi scalzi, mentre ti tagli con i
pezzi della tua vita sparsi per terra. Hai un bambino in braccio con gli occhi
sbarrati sui tuoi che non sai cosa vuole sentirsi dire e tu, nella tua
incompetenza di madre, gli dici solo che adesso andiamo in macchina e che passa
presto e che non è niente. Poi lo metti sul sedile davanti perché quello dietro
è occupato da kili di ferro vecchio della festa della sera prima, dove mai
avresti anche lontanamente immaginato che la tua vecchia vita sarebbe finita da
li a poco, perché tu lo sai Giuseppe, perché abiti poco lontano da me, che
siamo ancora tutti morti in vita, che
camminano su di una terra che in venti secondi, ci ha mutato inesorabilmente il
DNA. Da spavaldi centometristi del tempo che ci rincorre , a zombie che
camminano a rallentatore e si guardano intorno senza vedere niente e ascoltando
il vuoto che hanno dentro e che rimbomba ad ogni scossa sotto i piedi. Questi
contenitori infiniti di nulla, che come cisterne in disuso, stanno in una parte
imprecisa dentro di noi, ci danno un senso di infinita precarietà. Uomini e
donne me compresa, troppo stupidi e troppo occupati da ciò che non serve, per
riempirli di quella ovatta nutritiva che è la creatività e l’amore
incondizionato per se stessi, espresso in mille modi, che possono esaltare il
dono della nascita. Eccellenze, in campo di sprechi della risorsa “VITA”,
trovarsi tra le mani un bene indefinito che ormai non riconosciamo più’ e che
ha per nome “TEMPO”. Il tempo, questo sconosciuto, questa cosa che in maniera
stereotipata, c’eravamo abituati a dirne a voce alta che ne avevamo sempre poco
e ora che per sapere come occuparlo, ci venderemmo un rene. E così Giuseppe
scorrono anche i miei giorni, tra nottate in tenda e risvegli che hanno la
stessa scadenza del latte fresco. Le orecchie allenate a distinguere i micro
rumori, a dividere quelli buoni, quelli pericolosi e quelli che ammazzeresti il
vicino di casa, ogni volta che sbatte la portiera della macchina. I piedi ormai
come sismografi, in grado di individuare se era 3.2 o 4.3, e a esorcizzare la
paura della natura che non ha forma e prevedibilità’, con teorie che partono
dai depositi di gas, agli ufo. Che almeno potessimo dire che è stata la mano
dell’uomo a cambiare le nostre vita, si perché l’uomo fa meno paura
dell’astratto Dio dell’universo e del suo creato. La natura è perversa, è
maligna, ti scuote mentre sei sotto la doccia perché è bastarda. La natura che
tace sempre ma quando parla, lo fa una volta sola e se si deve ripetere perché
non abbiamo capito, parla ancora più forte. La natura che rovescia capannoni, e
poi la gente muore. La natura che ti guarda negli occhi e sorride perché tanto
tu, piccolo essere su questa terra, dove credi di potere scappare se sei tra
quattro palazzi a 6 piani. Poi se sei un attimo lucido pensi anche al perché
poi con tutta questa terra che abbiamo in Emilia, abbiamo bisogno di fare le
case a 6 piani. Perché non è nato un genio, che ha fatto una legge, tanto una
più una meno, che abbia obbligato le persone a costruire case più basse e in
mezzo a più verde. Così magari metti meno condizionatori d’estate, che
inquinano e fanno rumore, e così magari anche la terra se ti deve parlare non
deve per forza urlare! Poi come hai visto, sono arrivati tutti qui da noi, dal
presidente al Dalai Lama, che forse è stato l’unico tra tutti quanti, a
guardarci e ad avere pena per noi, senza pensare che da questo sentimento, ne
poteva ricavare profitto. Io sono animista lo sai, ma credo che io e lui,
parliamo la stessa lingua. Ovvio non potevo tenere ancora in cucina la foto di
Napolitano, che banalità doverlo sottolineare.
Ora appeso al muro c’è la foto
della torretta della Falk di Sesto san Giovanni, quella che mi ha regalato la
Manuela. Mi ricorda di quando l’estate scorsa si è presentata a ferragosto e
siamo andate a prendere l’acqua santa alla grotta del Romito che noi a
tutt’oggi chiamiamo il Gormito. Che ridere quel giorno, mi ha ricordato la
canzone di Guccini, “ Dalla Via Emilia al West..”e chi lo sapeva quel giorno
Giuseppe, che le nostre vite sarebbero cambiate per sempre, perché qui prima si
aveva paura di morire e adesso si ha paura di vivere.
Ti abbraccio e non preoccuparti, le
bio birre che non san da niente, scadono nel 2015.
Tamara.
lunedì 12 novembre 2012
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